Ucraina, un conflitto contemporaneo dai risvolti complessi

 

In occasione dell'anniversario dello scoppio della guerra russo-ucraina, ho riletto e rivisto questo articolo, scritto nella primavera del 2022. Rispetto ad allora, non ho dovuto aggiungere molto: dopo le prime settimane, le operazioni militari si sono assestate su un fronte poco dinamico e ben delineato, sconfessando le vane illusioni – coltivate da molti – di una rapida conclusione del conflitto. Dopo un anno di guerra, il suono delle armi continua sovrastare quello dei dialoghi della diplomazia.

Ucraina, ovvero “presso il confine”. Il nome stesso di questo paese è indicativo della sua collocazione geopolitica, in una zona di transizione al limite della sfera d’influenza di Mosca, non distante dai paesi dell’Europa occidentale.

La condizione di crocevia verso l’Asia centrale, il Caucaso ed il Mar Nero, insieme alla frammentazione etnolinguistica interna e alla presenza di cospicue risorse naturali, ha da lungo tempo reso questo territorio un teatro di contese tra le potenze limitrofe.

La storia dell’Ucraina è complessa e poco lineare: la prima organizzazione politica si realizzò intorno al IX secolo con la fondazione della Rus' di Kiev, un principato medievale che comprendeva vari popoli, fra cui i predecessori degli attuali russi. Il baricentro di questi ultimi si spostò nei secoli successivi a nord-est, verso le steppe moscovite.

Kiev (Kyïv secondo la dizione ucraina) perse la propria centralità con le invasioni mongole del XIII secolo, che furono seguite nell’età moderna dalla frammentazione territoriale tra Lituania, Polonia, Russia, domini asburgici e protettorati ottomani.

Il XVIII secolo sancì la preminenza russa, che portò gran parte dell'area sotto il controllo zarista per circa 150 anni.

Nel 1922, in seguito alla Rivoluzione d'Ottobre, fu fondata la Repubblica socialista sovietica ucraina, con confini tracciati a tavolino senza tenere conto di criteri oggettivi, che in molti casi non avrebbero comunque potuto essere definiti a causa della notevole complessità della composizione etnolinguistica della società.

Fra gli eventi salienti del periodo sovietico, si ricorda la grande carestia dell'Holodomor (1932–1933) che causò milioni di morti di fame a causa delle collettivizzazione agricola imposta da Mosca. La seconda guerra mondiale vide l'Ucraina ridotta a campo di battaglia della Campagna di Russia, cui dal lato dell'Asse presero parte numerosi ucraini collaborazionisti e simpatizzanti nei confronti della Germania, probabilmente anche in reazione alle politiche ed alle deportazioni sovietiche del decennio precedente. Terminata le guerra e morto Stalin, nel 1954 Chruščëv compì un gesto di riappacificazione con l'Ucraina, cedendole la regione della Crimea.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, avvenuta nel 1991, l’attuale stato ucraino indipendente ereditò i confini dell'ex Repubblica socialista sovietica ucraina.

La composizione etnica del paese non è omogenea: gli ucraini costituiscono circa i tre quarti della popolazione, i russi poco meno di un quinto e il resto è suddiviso fra altre appartenenze, fra cui romeni, moldavi e bielorussi.

Le varie popolazioni non sono separate nettamente dal punto di vista territoriale. I confini interni ed esterni sono in larga parte artificiali, eredità di una storia fatta di guerre, cessioni, annessioni e trattati.

Dal punto di vista geopolitico, dopo la caduta dell’URSS, la Russia ha mal tollerato la perdita di gran parte degli sbocchi sul Mar Nero e del controllo del porto di Odessa, già snodo fondamentale militare e commerciale sin dai tempi dell’impero zarista ed in seguito dell’Unione sovietica.

Dal punto di vista dell’ideologia, il presidente russo Putin sembra ricollegarsi ad una logica di rinnovate velleità imperiali anziché di nostalgie sovietiche: rientra in questo discorso l’idea in chiave nazionalista di una “Grande Russia” che riunisca sotto Mosca (con il sostegno del suo patriarcato ortodosso) i popoli considerati storicamente “fratelli”, ovvero i bielorussi e gli ucraini.

La minoranza russa dell'Ucraina è concentrata prevalentemente nelle province orientali di Donec’k e Luhans’k (dove nel 2014 si sono create due sedicenti “repubbliche popolari” fedeli a Mosca), in Crimea (annessa manu militari alla Russia nel 2014) e nella regione di Odessa. Le province di Donec’k e Luhans’k sono spesso indicate nell'insieme come Donbas o bacino del Donec, un territorio ricco di risorse minerarie, preda però di turbolenze politiche e di rivendicazioni indipendentiste.

Gli accordi di Minsk, negoziati tra il 2014 e il 2015 tra Russia e Ucraina con la mediazione di Francia e Germania per tentare di stabilizzare la regione, si sono rivelati de facto lettera morta. L'unico loro effetto degno di nota è stato probabilmente quello di aver concesso all'Ucraina un vantaggio di otto anni per prepararsi all'invasione sistematica, di cui l'occupazione della Crimea ha costituito una premessa.

Al di là degli aspetti economici, ideologici, storici e sociali che muovono le parti, rimane un fatto: il 24 febbraio 2022 la Russia si è posta fuori dal quadro del diritto internazionale con l’aggressione militare su larga scala nei confronti di uno stato sovrano qual è l'Ucraina.

Quella mattina l'Europa, che si credeva felicemente proiettata nel XXI secolo, si è risvegliata in pieno Novecento. Le pie illusioni relative alle guerre "moderne", combattute senza il coinvolgimento di esseri umani, si sono schiantate sul campo di battaglia dell'Ucraina, dove gli eserciti si affontano come nel secolo passato: a colpi di artiglieria, fanteria, aviazione, mezzi corazzati e migliaia di morti sul terreno.

Nel contesto delle relazioni tra gli stati, questo conflitto ha messo in luce la debolezza di un’organizzazione come l’ONU, bloccata dalla presenza della stessa Russia nel Consiglio di sicurezza (insieme ad attori poco interessati alla causa ucraina come la Cina), e ha dato nuovo impulso all’azione dell’Unione europea e della NATO.

Fra gli scenari possibili, vi può essere la sconfitta dell’Ucraina e la creazione di un governo fantoccio rispondente alle volontà russe. Questa sarebbe però una vittoria di Pirro, perché la Russia si ritroverebbe economicamente indebolita, politicamente isolata e costretta ad un’alleanza con la Cina sempre più sbilanciata a favore di quest’ultima.

Nel caso invece di un accordo negoziale, si potrebbe prospettare la divisione dell’Ucraina in un’entità una filoeuropea e filoatlantica ad ovest, ed una filorussa ad est, comprendente le zone separatiste del Donbas. Putin avrebbe buoni motivi per ricorrere solo in extrema ratio all'annessione diretta delle province separatiste nella Federazione Russa, preferendo probabilmente la creazione di uno stato fantoccio sulla falsariga della Bielorussia. La sua strategia preferita rimane quella del controllo indiretto tramite la subordinazione politica e militare, perché l'amministrazione di una regione turbolenta ed instabile come quella del Donbas costituirebbe per la Russia una potenziale fonte di problemi nel lungo periodo. L'eventuale annessione diretta di Donec’k e Luhans’k nella Federazione Russa sarebbe un'ulteriore prova della debolezza di Mosca.

Una terza ipotesi, attualmente poco probabile per via della disparità delle forze militari in campo, concerne una completa vittoria dell’Ucraina, che di conseguenza si accingerebbe ad entrare con i confini pre-bellici nella sfera dell’Europa occidentale e del Patto Atlantico.

In attesa di una soluzione politica, il contesto potrebbe mutare in un conflitto a bassa intensità e lunga durata, con una guerra di posizione, o peggio ancora con lo spettro di uno scenario "afghano", che vedrebbe l'esercito occupante paralizzato e soggetto ad attacchi di guerriglia da parte di reparti militari e paramilitari locali. In assenza di un trattato di pace, potrebbe anche crearsi una situazione simile a quella delle due Coree, con la tacita accettazione di una linea linea di “cessate il fuoco”, che separerebbe il territorio sotto il controllo di Kiev da quello governato – direttamente o indirettamente – da Mosca.

Nelle prime settimane di guerra, dopo un inizio fulminante, le operazioni belliche hanno subito un rallentamento da parte russa: quella che sembrava doversi concludere come una guerra lampo, condotta tramite un'operazione a tenaglia da sud (Mar Nero e Mar d'Azov), da est (pianure del Don) e da nord via Bielorussia, ha visto un assestamento su tutti i fronti. Dopo i primi giorni, l'esercito occupante è avanzato meno velocemente del previsto in territorio ucraino, e non è riuscito a sfondare in nessuna zona, ingaggiando invece una faticosa battaglia per la presa delle città dell'est, dilazionando e poi sospendendo l'attacco finale a Kiev e Odessa. Fallita la presa di queste città, i fronti d'attacco nord (via Bielorussia) e sud (via mare) sono stati progressivamente smobilitati per concentrare gli sforzi sull'asse sudorientale dei quattro oblast' di Luhans'k, Donec'k, Zaporižžja e Cherson.

L'Ucraina non si è sfasciata. Probabilmente, l'arresto alle porte delle due città principali è stato di natura tattica per alcune ragioni: la prima concerne il mito dell'efficacia della guerra lampo, quasi sempre smentito dalla storia. La seconda è relativa all'illusione del sostegno del popolo ucraino alla causa filorussa, che non si è affatto dimostrato tale. La terza riguarda la viva reazione della comunità internazionale (in particolare dell'Unione Europea e degli Stati Uniti), fortemente sottostimata dalla Russia. Per queste ragioni, lo stesso occupante si è ritrovato ad aprire un canale negoziale – informale – in una posizione di minor forza rispetto a quella prevista.

Vladimir Putin e la sua cerchia hanno inoltre sopravvalutato i legami storici ed etnici tra Russia ed Ucraina (costantemente enfatizzati dai media russi), e non hanno tenuto conto del sentimento nazionalista ucraino maturato nel '900 e particolarmente negli ultimi trent'anni fino ad oggi, con l'avvicinamento politico e culturale di Kiev all'Europa occidentale. Con questo attacco, la Russia ha sucitato l'effetto di rafforzare, anziché di fiaccare, l'identità nazionale ucraina.

Le reazioni della comunità internazionale comprendono le sanzioni economiche, irrogate in una misura forte ma non assoluta. Questi provvedimenti hanno comunque un impatto sigificativo non solo sul paese colpito, ma anche sull'intera economia mondiale a causa della dimensione geopolitica della Russia: vi sono coinvolte la politica monetaria e finanziaria, l'importazione e l'esportazione di beni e servizi ed una quantità ingente di capitali.

La Russia ha però un asso nella manica da giocare come arma di pressione politica: quello della fiamma azzurra, ovvero il gas metano. Prima della guerra, circa il 40% delle forniture di gas all'Unione Europea era assicurato dai ricchi giacimenti siberiani, che assicurano l'approvvigionamento tramite condotte di migliaia di chilometri che partono dalle gelide terre boreali per arrivare nostri fornelli, alle nostre caldaie, e soprattutto alle nostre industrie e alle nostre centrali termoelettriche. Il produttore ha limitato fin quasi ad annullare il flusso verso i paesi europei per rappresaglia nei confronti degli aiuti all'Ucraina. Anche questa si è però rivelata un'arma a doppio taglio: l'Europa si è attrezzata velocemente per rimpiazzare il gas russo con altre fonti.

I paesi attraversati dai gasdotti nel loro lungo percorso sono molti, e ciascuno di essi (Ucraina, Bielorussia, Polonia o altri) richiede un canone per i diritti di passaggio. Anch'essi hanno un margine di manovra sul flusso delle forniture. L'intesa russo-tedesca, creatasi negli anni recenti con la costruzione dei gasdotti diretti tra i due paesi via Mar Baltico (Nord Stream 1 e 2, ora chiusi o sabotati) rientrava nella logica di evitare la presenza di paesi intermediari.

Planando dall'altra parte dell'Atlantico, fra gli interessi economici degli Stati Uniti vi è quello di cogliere l'attuale crisi con la Russia per aumentare le forniture delle proprie risorse naturali (come il gas liquefatto) all'Unione Europea. La partita si gioca però soprattutto sul piano delle alleanze politico-militari, che pongono interrogativi sull'ambiguo rapporto tra Cina e Stati Uniti, sul ruolo della NATO nel mondo attuale, e sulla necessità del rafforzamento dell'unità europea, con particolare riferimento alle forze armate per la creazione di un esercito europeo.

Per la Cina, in questa situazione, possono nascere notevoli vantaggi: indipendentemente dalle sorti della guerra, la Russia uscirà indebolita dal conflitto a causa dello sforzo economico bellico e dell'isolamento internazionale, e Pechino potrà approfittarne per sbilanciare a proprio favore i rapporti di forza.

Il dilemma del dopoguerra sarà quello di far rientrare Mosca all'interno della grande famiglia europea, oppure di consegnarla definitivamente alla sfera d'influenza di Pechino, che guarda con forte interesse alla sua posizione strategica ed alle risorse naturali di cui è dotata, con particolare riferimento alla parte orientale siberiana. Nel suo complesso, la Russia è però un paese la cui storia e cultura appartengono largamente all'Europa, fatto che non è possibile ignorare.

Dall'Organizzazione delle Nazioni Unite non pervengono invece segnali di vita, ad eccezione delle sue agenzie specializzate, che nella loro nicchia funzionano abbastanza bene ma non hanno voce in capitolo sui rapporti tra gli stati.

Il conflitto non si sta combattendo solo sul campo di battaglia, in quello economico o tramite la diplomazia: esistono anche la guerra informatica e quella dei mezzi di comunicazione. Dopo l'inizio delle ostilità, gli attacchi degli hacker di entrambi gli schieramenti si sono inaspriti su scala globale, ed hanno colpito reciprocamente istituzioni, infrastrutture, banche, siti internet, radio e televisioni.

I mezzi di comunicazione sono parte attiva e fondamentale di questa guerra: la propaganda si è ovunque intensificata a detrimento dell'analisi politologica e della corretta informazione. La presenza delle tesi dei contendenti ha invaso l'etere e il web, con particolare riferimento ai social network. Questi ultimi sono infestati da un numero elevatissimo di account fake (falsi), attivati appositamente per inserirsi nelle conversazioni di politica e attualità (ad esempio nei commenti in calce alle notizie pubblicate dalle grandi testate) per tentare di orientare l'opinione pubblica a proprio favore.

Per via della censura della rete internet presente in Russia e nelle zone da essa controllate, i paesi occidentali hanno riattivato mezzi di comunicazione ben datati ma robusti, come le trasmissioni radiofoniche internazionali in onde corte. L'attivazione di un nuovo servizio della BBC in lingua ucraina ne è stato un esempio. La guerra delle radiocomunicazioni si è attivata con la comparsa di segnali artificiali disturbatori (jammer) sulle sue frequenze. Nell'etere non si conta poi l'aumento esponenziale dei segnali di potenziale origine militare, riferibili ai radar ionosferici per l'intercettazione delle testate balistiche intercontinentali.

Per quanto concerne la strategia della comunicazione, la dimestichezza con i media del presidente Volodymyr Zelens'kyj, favorita dalla sua precedente carriera di attore, ha fortemente giovato all'Ucraina. Perfettamente a proprio agio davanti ai microfoni ed alle telecamere, Zelens'kyj ha saputo occupare la scena mediatica, rassicurando costantemente i propri cittadini e incoraggiando i soldati con dirette televisive e tramite internet, intervenendo poi in videoconferenza e di persona presso i governi ed i parlamenti di tutto il mondo. Putin invece, decisamente forte sul fronte della propaganda interna, è risultato assai più debole su quello dell'immagine personale e della comunicazione esterna.

Altri aspetti riguardano il sostegno all'Ucraina tramite l'invio di armi da parte di vari stati occidentali, fatto che sottende una forma di coinvolgimento anche dal punto di vista militare. Nel discorso dell'intervento indiretto rientra anche l'arruolamento di combattenti esteri (foreign fighters) nelle file ucraine con la costituzione di una "legione internazionale". Per la NATO non è invece possibile alcun ricorso diretto alla forza militare, perché la struttura dell'alleanza costringerebbe tutti i membri all'entrata in guerra anche se ne venisse attccato uno solo: in sostanza, sarebbe un passo verso l'uso delle armi nucleari e lo scoppio della terza guerra mondiale.

Quanto alla prospettiva dell'ingresso dell'Ucraina nell'Unione Europea, auspicata anche dalla Presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, ritengo che essa possa costituire un obiettivo di lungo periodo, previa cessazione del conflitto in corso, nonché del pieno rispetto dell'iter ordinario e dei criteri d'accesso previsti dal diritto comunitario.