La banda larga in Italia e il digital divide
L' utilizzo razionale della tecnologia ADSL in relazione alle esigenze delle aree periferiche
La Rete Internazionale Icona: Wikimedia Commons |
La problematica dell'accesso ad internet in Italia è purtroppo nota: nel nostro paese si utilizzano linee con velocità media di 7 megabit al secondo, mentre in altri paesi industrializzati si sottoscrivono frequentemente abbonamenti da 100 Mb/s e oltre.
Nel 2015 la Commissone Federale per le Comunicazioni degli Stati Uniti ha elevato i criteri per la definizione della banda larga negli USA: da 4 Mb/s in download e 1 in upload a 25 Mb/s in download e 3 Mb/s in upload. C'è però chi prospetta un ulteriore aggiornamento a 100 Mb/s in virtù del numero sempre maggiore di abitazioni ed esercizi pubblici raggiunti direttamente dalla fibra ottica (Fiber to the home o FTTH).
La situazione italiana è invece gravata dall'utilizzo massiccio della tecnologia di tipo DSL, una delle poche modalità possibili per introdurre l'accesso ad internet a "banda larga" sul nostro territorio, escludendo i fenomeni delle connessioni via radio e via satellite.
Tale situazione trae origine dalle caratteristiche della rete telefonica italiana, risalente a vari decenni fa e recante le possibilità tecnologiche dell'epoca, consistenti in cablature di rame.
Il progresso infrastrutturale degli ultimi anni ha riguardato in larga parte le grandi dorsali, con la sostituzione del cablaggio obsoleto mediante collegamenti in fibra ottica tra i nodi cruciali della rete e le centrali locali. Recentemente si sta procedendo all'implementazione della tecnologia FTTC (Fiber to the cabinet) mediante l'installazione dei DSLAM VDSL2 direttamente negli armadi ripartilinea.
Ciò non ha però fornito una risposta all'utenza privata delle aree marginali afflitte da digital divide, ancora servite dal vecchio doppino da centrale di lunghezza superiore al chilometro, ed ha posto in risalto due questioni fondamentali:
- La necessità di utilizzare una tecnologia in grado di arrivare fino all'utente;
- La necessità di coprire un territorio assai variegato come quello italiano, per arrivare infine ai piccoli paesi delle valli, delle isole e delle montagne, che sentono una forte esigenza dei mezzi di comunicazione.
Negli anni '90, smobilitato il vecchio ente telefonico nazionale e lasciato il campo libero alla privatizzazione, il gestore della rete non ha provveduto al cablaggio capillare in fibra ottica. Questa scelta sarebbe stata costosa, ma avrebbe permesso di risolvere definitivamente il problema relativo al collegamento tra lo stadio di linea e l'utenza (ovvero il cd.«ultimo miglio»).
La soluzione adottata su larga scala fu invece un compromesso tra costi e prestazioni, con il cablaggio in fibra ottica (o con ponte radio) fino alle centrali di zona, e l'installazione in queste ultime dei DSLAM, modulatori-demodulatori di segnale di tipo DSL, atti ad instradare i dati in un intervallo di frequenze non sfruttate dal doppino telefonico, in maniera indipendente dal segnale della voce.
Si preferì inoltre puntare su una distribuzione asimmetrica della banda tra ricezione e trasmissione (ADSL), anziché su una distribuzione simmetrica (SDSL), fattore che implicò una forte limitazione della capacità di trasmissione (upload) in favore di quella di ricezione (download).
La situazione è rimasta, al giorno d'oggi, pressoché immutata. Sono invece mutate radicalmente le esigenze degli utenti della Rete, con la dinamizzazione del loro ruolo anche in senso sociale e la conseguente interdipendenza fra di essi, fattore che ha originato un inevitabile decentramento ed una delocalizzazione dei flussi di dati.
L'interattività si estrinseca nei social network e nelle comunità virtuali, ove l'utente assume un ruolo attivo con i propri post e tweet, spesso collegati a filmati ed immagini, che necessitano di un'adeguata capacità di trasmissione, oltre che di ricezione.
L'aspetto della delocalizzazione è costituito inoltre dalle connessioni da pari a pari (peer to peer come il protocollo Torrent), ovvero lo scambio di dati in maniera diretta da un utente all'altro, grave problematica di tutte le reti vetuste e dei relativi gestori.
Da queste considerazioni si può affermare che una linea ADSL con un rapporto di 1:20 tra il valore di trasmissione e quello di ricezione, attualmente in commercio, non sia più adeguata alle esigenze dell'utente di oggi.
L'ispirazione per un utilizzo più razionale della tecnologia ADSL per le aree marginali potrebbe derivare dallo sfruttamento delle caratteristiche ad essa intrinseche, qui analizzate nello standard più comune, la raccomandazione G.992.1, meglio nota come G.DMT, definita nel 1999 dall'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni, per la quale sono previste velocità massime teoriche di 12 Mb/s in ricezione e di 1,3 Mb/s in trasmissione. ADSL2, ADSL2+, VDSL, VDSL2 e la tecnologia FTTC meriterebbero invece un discorso a parte, ma le loro peculiarità le rendono pressoché inutili ai fini dell'intervento sul digital divide.
Per l'ADSL è necessario considerare due fattori: il primo riguarda la larghezza di banda, ovvero la velocità messa a disposizione dal provider, che è regolata dalle clausole del contratto: ad esempio una dicitura commerciale di «7 mega» implica 7 megabit/s solo in ricezione (e probabilmente meno di 1 in trasmissione), con una banda garantita assai minore. Inoltre, l'unità di misura delle connessioni è solitamente il bit e non il Byte: con una ADSL da 7 mega(bit), scaricherete un filmato di 700 mega(Byte) in circa un quarto d'ora, e non in 100 secondi! Per l'upload della stessa quantità di dati, se avrete fortuna, vi sarà necessaria più un'ora e mezza.
Il secondo fattore riguarda la qualità della linea e le risultanti prestazioni, a causa della necessità di una limitata lunghezza del collegamento (non più di qualche chilometro) dalla centrale all'utente, per via della rapida decadenza del segnale DSL.
Alla luce delle problematiche sopra esposte, si potrebbe ipotizzare una razionalizzazione generalizzata, che potrebbe articolarsi da un lato nell'innalzamento della sola portante di trasmissione al massimo teorico di 1,3 Mb/s ove consentito e, dall'altro, qualora fosse necessario, collegare gli utenti raggiunti da linee di qualità scadente o lontani dalla centrale diminuendo la portante di ricezione fino al livello in cui il segnale possa rivelarsi sufficientemente «robusto» entro i 5 km dalla centrale.
Questa tecnica sarebbe possibile per via dell'indipendenza dei due canali di ricezione e di trasmissione, i cui parametri possono essere rilevati e valutati separatamente (margine di rumore ed attenuazione di linea). Questo è anche il motivo per cui, in una ADSL, il canale di trasmissione presenta solitamente una maggiore «robustezza» di quello di ricezione, fattore collegato alla larghezza della banda passante.
In ogni caso, la velocità disponibile risulta già normalmente inferiore non solo alla possibilità teorica dello standard G.DMT, ma anche alla portante messa a disposizione dai medesimi provider per via dell'inadeguatezza delle infrastrutture. Ciò che si poteva considerare "banda larga" tra gli anni '90 e 2000, è ora sinonimo di una tecnologia sorpassata e inadeguata.
Si verifica pertanto la pratica ricorrente del cd. Overbooking sui DSLAM, ragionamento per il quale i provider contano statisticamente, o più semplicemente sperano, che tutti gli utenti collegati ad una determinata centrale non si connettano contemporaneamente.
In tale discorso rientra l'ostilità dei provider verso le applicazioni peer to peer (ad es. BitTorrent) poiché esse, prevedendo un flusso di dati continuo, aumentano la probabilità statistica di saturare la Rete.
Un forte rapporto di sbilanciamento dell'ADSL a favore della ricezione non può dunque che essere favorito dai gestori per via del suo intrinseco ruolo di limitatore, permettendo di rimandare ad un futuro economicamente più roseo eventuali ammodernamenti infrastrutturali, in particolar modo nelle aree periferiche.
Sul fronte della fibra ottica, attualmente prosegue da parte di Open Fiber la realizzazione del Piano per la Banda Ultra Larga finanziata da Infratel Italia, società in-house del Ministero dello Sviluppo Economico e soggetto attuatore del Piano nazionale Banda Larga. Open Fiber, vincitrice dei tre bandi Infratel per le aree a “fallimento di mercato”, è sussidiaria del gruppo Enel e della Cassa depositi e prestiti. La società si impegnerà, entro la fine del 2020, a connettere molte migliaia di comuni con tecnologia FTTH (Fiber to the Home) in grado di garantire velocità massime teoriche fino ad 1 Gbps con fibra ottica fino all'abitazione. La velocità reale si attesterà invece sui 100 megabit al secondo per le abitazioni servite da FTTH e 30 megabit al secondo per quelle servite da tecnologia radio Fixed Wireless. Il servizio non sarà erogato direttamente da Open Fiber, bensì da operatori terzi, che usufruiranno della sua infrastruttura. Quest'ultima, in ogni caso, rimarrà di proprietà pubblica.