Smartworking, un'opportunità sprecata?

Questi tempi di pandemia potrebbero portare alla mutazione del modo d’intendere i rapporti sociali e professionali, aprendo la strada a nuove prospettive, in una logica che unirebbe il paradigma del progresso tecnologico a quello dello sviluppo sostenibile. Le cose, però, stanno effettivamente evolvendo in questo modo?

Parrebbe di no, almeno stando alle dichiarazioni dell'attuale ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta che, come riferito da un articolo del “Sole 24 ore”, ha prospettato la riduzione dell’esperienza del lavoro agile a mera “eccezione” [1]. L'esponente del governo non è l’unico soggetto a sostenere l’esigenza di tornare in ufficio. Da più voci, provenienti dai settori direttivi del mondo produttivo pubblico e privato italiano, si auspica il ritorno allo status quo ante Covid. Tralasciando il fatto che – al momento di scrivere questo articolo – il Covid è ancora vivo e vegeto [2], possiamo invece domandarci se il lavoro agile vada liquidato come un capitolo fallimentare, privo di risvolti positivi.

Gli indicatori economici, al netto della situazione pandemica, smentiscono questa tesi, ed i lavoratori si dichiarano in larga maggioranza favorevoli alle nuove modalità operative [3]. Con il lavoro agile, molte voci di spesa dei lavoratori sono diventate voci di risparmio, in primis i trasporti. Gli enti e le aziende, da parte loro, sono invece incoraggiati a risparmiare su riscaldamento, acqua, luce, connettività, manutenzione dei locali, arredi, mezzi di servizio, acquisto ed usura delle attrezzature.

Fra coloro che continuano a prediligere il lavoro in presenza, le testimonianze dimostrano l'assenza di una vera e propria avversione verso lo smartworking in quanto tale: la preferenza per il lavoro in ufficio è invece dettata solitamente dalla mancanza di ambienti adeguati a domicilio e/o alla presenza nella propria casa di elementi disturbanti, fra cui animali domestici, bambini rumorosi e familiari fastidiosi. La volontà di mantenere i rapporti sociali con i colleghi pare, secondo i sondaggi, un fattore minoritario.

In due anni di pandemia, è stato ampiamente dimostrato che molte mansioni possono essere svolte del tutto o in larga parte da remoto. I mezzi tecnologici esistono: manca invece l’abitudine di servirsene, o peggio ancora la capacità di usarli. L’Italia è oggettivamente un paese di semianalfabeti informatici: secondo l’Istat, neppure la metà dei cittadini raggiunge un livello almeno sufficiente di competenze digitali di base[4]. Questo fattore si estrinseca nella scarsa propensione ad adottare strumenti gestionali informatici, perseverando con abitudini anacronistiche, come l’uso del “sacro” documento di carta.

Talvolta si adottano sistemi gestionali digitali, utilizzandoli però in modo errato. A tal proposito, si ricorda il frequente paradosso del passaggio da digitale a cartaceo e nuovamente a digitale, dove un documento nativamente elettronico (ad esempio un pdf generato da un foglio di videoscrittura) viene stampato per l’apposizione di una firma autografa, e successivamente scansito ai fini dell’archiviazione digitale o dell’invio tramite e-mail. Per evitare il passaggio della stampa, sarebbe sufficiente l’apposizione di una firma digitale, che ha lo stesso valore legale di quella autografa.

Il medesimo discorso vale per gli invii postali: ormai da anni esiste la PEC (posta elettronica certificata), che ha il valore legale di una raccomandata con avviso di ricevuta. Cosa dire poi delle riunioni, che possono essere tenute in videoconferenza mediante programmi che consentono anche la condivisione del desktop e lo scambio di file in tempo reale? Gli strumenti di lavoro remoto non si esauriscono qui: esiste una vastissima offerta di strumenti di comunicazione e interazione, di desktop remoto, cloud e VPN. Sarebbe però necessario un esercito di formatori e di soggetti competenti per aggiornare il personale di molti enti pubblici ed aziende su questi temi.

Il nuovo lavoro agile presuppone un cambiamento radicale di mentalità sul fronte della modalità operativa: la focalizzazione dovrebbe essere posta sugli obiettivi e non sul tempo trascorso fisicamente in una sede. I concetti di luogo ed orario di lavoro acquisteranno in futuro una rilevanza meno marcata di fronte alla mansione effettiva che, con gli opportuni mezzi tecnologici, può essere svolta potenzialmente ovunque: anche sulla riva di un fiume o in cima ad una montagna.

Parte integrante del discorso sono gli aspetti positivi legati all’ecologia e all’ambiente: ed esempio la limitazione dei trasporti, la diminuzione dell’uso dei combustibili fossili e degli agenti inquinanti prodotti dai motori a scoppio.

Da parte di alcuni organi di governo è stata inoltre tralasciata l’esistenza di un’Italia a due velocità nel settore pubblico: i numerosi enti che durante la pandemia hanno saputo organizzarsi da remoto, continuando a fornire servizi ai cittadini, non sono stati incoraggiati sulla strada intrapresa e sono stati assimilati agli enti che non hanno potuto o saputo affrontare la situazione. Questa generalizzazione sta portando ad un livellamento verso il basso della spinta alla digitalizzazione ed alla modernizzazione. A tal proposito, è emblematica l’idea dello smartworking dell'attuale ministro della Pubblica Amministrazione Renato Brunetta, che consiste nella desolante immagine di un impiegato chiuso in casa davanti al suo “computerino” (sic!), senza obiettivi e senza tecnologia [5]. Sarebbe invece opportuno che le amministrazioni più evolute, che hanno affrontato e stanno affrontando positivamente l’esperienza dello smart working, servano da esempio ed apripista per le altre.

Non è inoltre da trascurare il benessere dei lavoratori dovuto al risparmio di tempo negli spostamenti tra casa e luogo di lavoro: che si tratti di un percorso di pochi minuti, oppure di un viaggio di molte decine di chilometri, il maggiore tempo disponibile può ad esempio essere proficuamente reimpiegato nell’attività motoria (fonte di salute), nell’arricchimento culturale, nella gestione della famiglia, nell’amministrazione delle necessità domestiche o in molti altri modi. La maggiore soddisfazione dei lavoratori ed il loro benessere psicofisico porterebbero ad una maggiore propensione all’attività lavorativa e, di riflesso, ad un aumento della produttività.

Sarebbe un peccato non raccogliere le numerose esperienze maturate durante il Covid, che guardano alla sinergia tra progresso tecnologico, tutela dell’ambiente, sviluppo sostenibile e responsabilizzazione dei lavoratori, per la creazione di una nuova macroeconomia che possa includere strutturalmente il lavoro agile.

Note

  1. Dipendenti pubblici, era dello smart working verso la fine. Il piano di Brunetta – Il Sole 24 ore
  2. European Union – European Centre for Disease Prevention and Control
  3. Perché il lavoro smart non piace al ministro Brunetta? – Il Sole 24 ore
  4. Rapporto Istat, l’Italia è indietro sulle competenze digitali: ecco che fare – agendadigitale.eu
  5. Smart working, Brunetta: “E' un lavoro a domicilio all'italiana” – adnkronos.com